TERAMO – La Cgil di Teramo, tramite il segretario generale Giovanni Timoteo, chiede conto alla Asl della proliferazione dei contagi tra il personale sanitario, definendo "approssimativa" la gestione dell’emergenza Coronavirus da parte dei vertici della sanità teramana. Per questo il sindacato, dopo le rassicurazioni, i numeri e le nomine di consulenti da parte della direzione generale, si spinge a chiedere una revisione delle misure messe in campo per contrastare l’epidemia. E lo fa partendo dal protocollo sottoscritto il 24 marzo dal Ministero della Salute e i sindacati del personale ospedaliero, prendendo in esame punto per punto ciò che avrebbe dovuto fare la Asl di Teramo e che invece non è stato fatto nell’emergenza Coronavirus.
MISURE INEFFICACI. «La Cgil, considerato soprattutto il costante aumento a livello provinciale dei casi di positività al COVID-19, sia a carico degli operatori sanitari che dell’utenza, chiede una immediata verifica sull’appropriatezza delle misure messe in campo per ridurre la propagazione del virus».
TAMPONI NON FATTI. «Il 25 marzo, all’indomani del protocollo sulla prevenzione e sicurezza per il personale sanitario sottoscritto dal Ministero della Salute e dalle parti sociali, la Cgil ha chiesto alla Asl di Teramo che fosse programmata rapidamente l’esecuzione dei tamponi diagnostici per il Covid-19 a tutti i lavoratori che operano nei presidi ospedalieri, essendo questi ultimi dei luoghi di lavoro non solo per dipendenti della ASL ma anche per i lavoratori delle ditte di pulizia, distribuzione pasti, manutenzione degli impianti, cooperative sociali, guardarobieri e addetti alla biancheria, in somministrazione, stesso personale che spesso opera ed interagisce con più unità operative. Riscontriamo nostro malgrado che a tutt’oggi non abbiamo ricevuto risposte concrete».
DENUNCE ALL’ORDINE DEL GIORNO. «Registriamo purtroppo, oramai giornalmente, segnalazioni da parte di operatori sanitari e non, i quali si trovano sempre più spesso a far fronte a criticità, di varia natura, frutto di una impostazione che, spesso appare approssimativa e che ha determinato e rischia di determinare il continuo diffondersi del contagio».
NESSUN CONFRONTO. «Il Protocollo del 24 Marzo sottoscritto tra il Ministro e CGIL – CISL – UIL confederali, di categoria e della dirigenza medica e sanitaria, si chiude con l’auspicio di attivazione di Comitati per svolgere un “confronto preventivo con le rappresentanze sindacali presenti nei luoghi di lavoro, affinché ogni misura adottata possa essere condivisa e resa più efficace dal contributo di esperienza delle persone che lavorano, in paricolare degli RLS.”
FALSI NEGATIVI. «Il confronto avrebbe potuto aiutarci a dare risposta al perché c’è la percezione della mancanza di una linea guida univoca sull’esecuzione del test diagnostico Sars-covid2 al personale. Spesso, la Cgil ha registrato le diverse interpretazioni sulle modalità di esecuzione del test, in quanto è più volte accaduto che, a sanitari entrati in contatto con pazienti o sanitari positivi al COVID-19, il tampone è stato eseguito nel giorno immediatamente successivo al contatto, con l’elevata possibilità, come dichiarato più volte dai responsabili delle U.O.C. di Malattie Infettive di tutta la Regione, di avere come risultato un falso negativo. Ci sembra essenziale che i test siano effettuati all’interno di una procedura di evidente, sperimentata e riconoscibile valenza scientifica. Diversamente si rischia di “bruciare” risorse pubbliche senza effetti concreti per la riduzione del contagio».
TEST NON PERIODICI. «Il confronto avrebbe potuto aiutarci a capire il perché dell’assenza di una periodicità prestabilita nell’esecuzione del test diagnostico Sars covid2, al personale sanitario e non, operante presso i cosiddetti Reparti covid, ritenendo che controlli periodici, a distanza di massimo sette giorni, riducano la probabilità di avere in servizio personale a sua volta positivo, con il rischio di contagio tra colleghi come accaduto ad esempio presso il presidio ospedaliero di Sant’Omero, ove il professionista incaricato di effettuare i tamponi diagnostici era a sua volta positivo».
NESSUNA FORMAZIONE. «Il confronto avrebbe potuto fornirci informazioni utili a capire se e perché manca una specifica formazione a carico degli operatori sanitari che eseguono i tamponi diagnostici. Capire se affidare la formazione di tale personale ad un tutorial sia stato realmente efficace invece che affidarlo, ai dirigenti medici dell’U.O.C. di Malattie Infettive come richiesto dalle categorie del comparto sanità ad inizio epidemia».
TEMPISTICA DEI TEST. «Il confronto avrebbe potuto aiutarci a far conoscere al personale se è stata richiesta una via prioritaria dalla Asl di Teramo ai laboratori competenti, per lo sviluppo dei test eseguiti sul personale sanitario o afferente i presidi ospedalieri, avendo riscontrato tempistiche non appropriate per l’ottenimento dei risultati derivanti dall’analisi degli stessi, con conseguente probabilità che gli operatori, possano essi stessi diventare veicoli di infezione nell’esercizio dell’attività lavorativa».
ASSENZA DI DPI. «Il confronto avrebbe potuto argomentare e giustificare la mancanza di D.P.I. che è percepita comunque dai sanitari come una carenza non più accettabile perché determina un profondo e diffuso senso di insicurezza. Inutile sottolineare la gravità e il rischio di esposizione al contagio se i dispositivi di protezione non sono in quantità sufficiente a gestire l’emergenza».
SPAZI ADEGUATI. «Il confronto avrebbe potuto darci elementi per capire come vengono individuati i locali da adibire all’esecuzione del test diagnostico sars covid2. Capire l’appropriatezza dell’esecuzione di tali test nei reparti di degenza, in spazi nei quali successivamente viene ripristinata l’attività ambulatoriale e perché gli stessi non vengano eseguiti in apposito locale/tenda esterno al P.O., evitando la contaminazione degli ambienti interni».
SPOGLIATOI ASSENTI. «Il confronto avrebbe potuto aiutarci a capire se è stata presa in considerazione l’ipotesi di individuare in ogni U.O. appositi locali da adibire a spogliatoi per evitare assembramenti, tra l’altro non consentiti per legge nel particolare momento storico che stiamo vivendo. Tale scelta, vista anche la riduzione delle attività ambulatoriali, consentirebbe ad ogni unità operativa di dotarsi di appositi spazi ad uso spogliatoio, per il personale sanitario e non allo scopo di contenere, quanto più possibile, la propagazione del virus».
RISPOSTA AL VIRUS DISATTESA. «Da quanto sopra riportato, si evince, come le modalità operative adottate fino ad oggi non abbiano generato, pur considerando la portata dell’emergenza a cui si cerca di far fronte, quelle risposte che sia gli operatori che la popolazione si attendevano, ma hanno creato in tutti, contrariamente al previsto, nuove e profonde insicurezze che potrebbero essere colmate anche attraverso l’ascolto di tutti quei soggetti istituzionali ed associativi come la Cgil che si propongono prioritariamente come interlocutori propositivi.
In questo drammatico e triste momento che grava sulla vita delle persone e di tutte le comunità, siamo tutti, perfettamente consapevoli di quanto sia prezioso ed essenziale il lavoro nella sanità. Giustamente ringraziamo medici, infermieri e le altre figure professionali impegnate dentro gli ospedali per un’attività di frontiera che li espone quotidianamente al rischio di contagio. Siamo anche convinti però, che al di là della semplice retorica, il modo migliore per riconoscere e rispettare il loro lavoro, risieda nell’attenzione, nel rigore, nella qualità, nella responsabilità e nell’impegno che si mettono nel programmare ed organizzare strumenti ed azioni che siano realmente efficaci per garantire tutela e sicurezza della salute.
Un’impostazione e un obiettivo che, siamo certi, appartengono anche alla Vostra sensibilità e responsabilità.
Con questa convinzione rimaniamo fiduciosi di un pronto riscontro alle nostre osservazioni.